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Valeria Pannozzo: Una finestra sulla Cina

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di Marisa Iacopino

In un tempo in cui ci si sposta di frequente per necessità o per diletto, chi si trasferisce porta con sé la memoria del proprio luogo per adattarla al nuovo, per ridefinire, con qualche linea certa, i confini del suo stare al mondo, in un processo di adattabilità che è insieme movimento e permanenza.

A chiusura del breve incontro con Italiani nel mondo, una giovane sinologa che ha deciso di “esplorare le possibilità lavorative” in Cina. Lei è Valeria Pannozzo, e ci apre una finestra su un Paese tanto lontano quanto complesso.

Da dove nasce il tuo amore per la Cina?

“Ho scoperto l’Estremo Oriente a sei anni, quando tra le mani mi è capitato un fumetto giapponese di Sailor Moon. Poi è stata la lettrice Zhang Tongbing, alla facoltà di Studi Orientali di Roma, a trasmettermi la passione per la cultura cinese. Mi sono trasferita per realizzare un mio sogno orientale, capire se fosse fattibile o non rincorressi una chimera”.

E’ stato radicale il cambiamento per te, giovane donna occidentale?

“In Cina la vita è molto diversa. Se a Roma e provincia devi stare attenta che nessuno ti segua la sera, o ai borseggiatori nella metro, qui puoi camminare da sola a notte fonda senza avere timori. Alcune differenze del microcosmo quotidiano: le lavatrici funzionano ad acqua fredda; gli assorbenti sono lunghi 43 centimetri! Devi poi capire come cucinare cibi mai provati, o come trovare una tintoria, imparare a fare la spesa on line. Inoltre, ci sono aspetti interiori: essere una giovane donna qui non è semplice, soprattutto se hai più di trent’anni e vorresti conoscere giovani uomini, perché la maggior parte è ‘presa’. Si sposano presto, anche se la società sta cambiando. C’è l’attrazione dell’elemento esotico, perché hai i tratti occidentali (occhi e pelle chiara, naso ‘alto’) che loro amano molto e sono rari da vedere, ma gli elementi culturali o il pregiudizio che poi torni a casa potrebbero essere deterrenti”.

Cosa fai esattamente a Qingdao? *

“Insegno lingua e cultura italiana in un liceo artistico pubblico, dove c’è un programma speciale per alcune classi. La Italy China Council Foundation mi ha chiamata a ricoprire il ruolo. La scuola è direttamente connessa alla prestigiosa Accademia di Brera e alle Accademie di Belle Arti italiane. Gli studenti scelgono l’indirizzo con lingua italiana perché, poi, vogliono proseguire gli studi artistici in Italia”.

C’è qualche aneddoto che vorresti raccontarci?

“Molti! Per strada chiedo indicazioni ai passanti, coetanei o più anziani che siano, e gli viene naturale chiedermi perché mi trovi in Cina. Appena sanno che faccio l’insegnante, si scusano e mi danno del ‘Lei’.  Anche la loro postura cambia, è più riverente. Questo mi crea un po’ disagio, ma mi è stato spiegato che l’insegnante qui ricopre un alto status sociale. La gentilezza, il calore e la curiosità cinesi si toccano con mano: sentirmi chiedere da ragazze per strada “facciamo una foto insieme?”; e il tassista di Jinan che offre a me e alla mia amica ‘torte di luna’ preparate e impacchettate a regola d’arte dalla moglie; gli studenti di altri corsi che mi vengono a cercare in sala professori solo per dirmi “ciao” o presentarsi”.

Cosa hai portato là dall’Italia, e che cosa porteresti in Italia da lì?

“Ho portato la mia italianità. Solo stando qui ho imparato ad apprezzare la mia cultura, il portamento, il vestire, il parlare. Poi i gesti italiani, su cui ho anche tenuto una lezione; chiedere a qualcuno “come stai?”, non è scontato. La società cinese viaggia rapida, lavoro lavoro e ancora lavoro. Se glielo chiedi, ti guardano come se non capissero la propria lingua, poi però si sciolgono e nascono le migliori relazioni. Ma soprattutto porto con me la storia italiana, in tutto ciò che sono si riflette la provenienza. I cinesi amano moltissimo la storia, in particolare quella italiana, che è lunga e grandiosa come la loro. Ho l’impressione che proprio questo ci legittimi a essere visti come dei pari. In Italia porterei i punti di contatto tra le due culture, il forte valore della famiglia, dell’amicizia, l’importanza del lavoro. Ricorderei agli Italiani di restare curiosi: imparare a vedere le cose da diverse prospettive ci aiuterebbe a non avere più paura del diverso, dello sconosciuto, abbandonare la mentalità da ‘popolo invaso.’ Porterei anche l’efficienza cinese: una cosa decisa si fa, non si aspetta domani. E poi, la mancanza di pregiudizio verso il denaro. I cinesi ne parlano tranquillamente come qualsiasi altro aspetto della vita. In Italia puoi sapere vita, morte e miracoli del migliore amico, ma non quanto ha in banca!”.

Per il futuro cosa desideri, al di là della nazione in cui sceglierai di vivere?

“Quando parlo con amici, cinesi e non, noto che, alla fine della storia, vogliamo tutti le stesse cose, indipendentemente dalla cultura e nazionalità: una vita dignitosa e serena, costruire seguendo le proprie aspirazioni, essere amati e tornare a casa dai cari. Personalmente, anche mantenere la libertà di scegliere, soprattutto come donna, di poter restare in un Paese diverso dal mio o poter tornare in Italia. Se guardo al momento attuale, sembra una scelta che in futuro si spegnerà per tanti giovani italiani all’estero”.

*Città della penisola dello Shandong, nella Cina orientale

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