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Gli anziani e l’importanza di un supporto psicoanalitico, il parere della psicoanalista Adelia Lucattini

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di Marialuisa Roscino

L’invecchiamento è un processo naturale che porta con sé una serie di cambiamenti fisici, emotivi, relazionali e sociali. Questi cambiamenti possono essere difficili da affrontare e possono portare a disagio psicologico, come depressione, ansia e solitudine. Ma i fattori che possono deprimere gli anziani possono essere molteplici e di diversa natura: da quelli di salute più comuni come diabete, malattie cardiovascolari, ipertensione, problemi osteoarticolari, dolore cronico, a quelli infine psicologici e sociali, come l’isolamento, i lutti, la perdita del ruolo lavorativo, la fragilità finanziaria.  Ecco allora come la psicoanalisi può rappresentare un aiuto importante e fattivo per gli anziani. Ne parliamo, in questa intervista di oggi, con la dottoressa Adelia Lucattini, Psichiatra e Psicoanalista Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana

Dottoressa Lucattini, quali sono le principali sfide psicologiche che gli anziani affrontano nel loro quotidiano?

“Innanzitutto, il corpo che per sua natura cambia e l’arrivo di patologie fisiche tipiche dell’invecchiamento che possono essere maggiori o minori a seconda della predisposizione individuale, la familiarità, dei traumi fisici e psichici, dello stile di vita che si è avuto negli anni. Le persone anziane soprattutto se vivono o trascorrono molto tempo da sole, si sentono abbandonate, inutili, escluse dalla vita familiare e sociale, senza sostegno nel momento del bisogno, finite”.

Come influisce, in particolare, la solitudine sulla salute mentale e fisica degli anziani e in che modo la psicoanalisi può mitigare questi effetti negativi?

“La solitudine, il vuoto depressivo, l’ansia e crisi di angoscia, causano una grande sofferenza personale con risvolti anche somatici e talvolta con conseguenze serie, andando a riacutizzare patologie croniche di cui spesso gli anziani soffrono e provocando in alcuni casi anche somatizzazioni di origine mentale. La depressione non curata aumenta del 35% la mortalità, un dato paragonabile all’effetto di patologie fisiche gravi. L’isolamento, inoltre, azzera la vita sociale, rende difficile trovare delle buone compagnie, problematico incontrare un nuovo partner e di avere occasioni gioiose e di divertimento. Com’è noto, il buon umore allunga la vita. Ma il primo elemento è che l’analisi si fa con qualcuno; quindi, si instaura un rapporto profondo e una abitudine al dialogo scandito, settimana dopo settimana, con la certezza di essere ascoltati con attenzione, ricevere delle risposte appropriate e riflettere insieme a dei processi inconsci. Inoltre, è importante ripensare alla propria vita da un nuovo punto di vista, adottando uno sguardo diverso utilizzando una lente che permette di evidenziare dei particolari che erano sfuggiti”.

Secondo la Sua esperienza, quali sono i principali benefici che gli anziani traggono dalla psicoanalisi rispetto ai loro coetanei che non vi si sottopongono?

“La caratteristica comune tra gli anziani che abbiano fatto un’analisi è che sono più sereni, maggiormente riflessivi, attenti a se stessi e alla propria salute, affrontano la depressione e la paura della fine della vita. Non di rado sono più longevi a parità di malattie fisiche, rispetto ai loro coetanei che non hanno fatto un’analisi, poiché si osservano, pensano creativamente, sono più vitali. Sanno chiedere aiuto, non hanno timore a consultare i medici o a sottoporsi ad accertamenti, controlli e prevenzione. Parlare con un analista non è una conversazione di tipo familiare o amicale, inizia per una difficoltà ed è incentrata sulla risoluzione dei sintomi e sul recupero di aspetti positivi di se stessi. Inoltre, attraverso il lavoro analitico è possibile bonificare esperienze negative, elaborare esperienze traumatiche, recuperare ricordi. La riflessione in analisi aiuta a dare un altro o un nuovo significato al passato, consente di immettere in se stessi la forza vitale necessaria per affrontare il presente. Inoltre, nella propria analisi vengono coniugati aspetti relazionali e affettivi con una comunicazione sincera e profonda. Insieme, è possibile osservare se stessi da punti di vista diversi o non focalizzati in precedenza. Oltre a ciò, si dà anche un nome alle proprie intuizioni e considerazioni, si chiariscono i concetti che illuminano i pensieri, trovando in loro nuovi significati e un senso. Poter parlare dell’amore, presente e passato, asse portante dell’esistere e della vita”.

Può spiegare come la psicoanalisi aiuta gli anziani a elaborare i lutti e ad affrontare la paura della fine della vita?

“Il pensiero della morte e della fine della propria vita comincia ad essere presente nell’esistenza di tutti, da un certo momento in poi. Se vi sono malattie importanti certamente accade prima, altrimenti è posticipato e spesso inizia con la nascita di un nipote o di un pronipote, in occasione di un ricovero ospedaliero, quando c’è un lutto importante di un amico caro, talvolta di familiari più giovani. La psicoanalisi è una cura che permette di affrontare il lutto in modo specifico, John Bowlby ne ha parlato nel libro “Attaccamento e perdita” mettendo in evidenza le varie fasi del lutto, dalla negazione fino alla rassegnazione, ovvero l’interiorizzazione della presenza della persona perduta che è recuperata dentro se stessi e con cui si instaura un dialogo interno. Per quanto riguarda la paura di morire, ogni persona la affronta a modo proprio e trova nella sua vita presente e nel futuro che verrà, le proprie ragioni per affrontare il più serenamente possibile. La psicoanalisi non offre formule, ricette, non dispensa consigli pratici, aiuta i pazienti a trovare le risposte a partire dall’interno di se stessi. Non sono possibili generalizzazioni, il lavoro psicoanalitico è personale e intimo, permette di sentirsi più forti, stabilizza le emozioni, aiuta a dare un senso alla propria vita. Migliora l’umore, aiuta a pensare. Quello che si può affermare per certo è che tutti coloro che fanno un’analisi cessano di vivere perseguitati dalla paura della morte e, qualunque siano le difficoltà da affrontare, apprezzano l’esserci nell’hic et nunc, l’esistere oggi e il vivere”.

Quanto è determinante il ruolo dei familiari nella vita di un anziano?

“I familiari sono preziosi e indispensabili in tutte le fasi della vita e a qualsiasi età. Gli anziani hanno bisogno dei loro familiari ma anche i figli e i nipoti sono sempre legati a loro e hanno piacere a trascorrere del tempo insieme. Gli impegni familiari, di studio e lavoro possono causare sofferenza per la difficoltà di vedersi. Alcuni ingredienti indispensabili sono la sensibilità, l’attenzione, la dedizione, l’affetto, la comprensione. Accanto a questi, anche la possibilità di trascorrere del tempo insieme, creando occasioni speciali, tante “feste di non compleanno”, senza limitarsi alle feste comandate”.

Oltre al tempo al lavoro e agli impegni inevitabili, i familiari possono avere anche delle difficoltà particolari?

“Un punto nodale è che talvolta i familiari scambiano alcuni cambiamenti dovuti all’età (l’essere più lenti, essere taciturni, rispondere con una certa latenza, l’affaticabilità, le difficoltà motorie) per problemi psicologici o per oppositività e pigrizia, per cui si stancano, perdono la pazienza e iniziano a iperstimolare i propri familiari anziani, pensando così di ravvivarli, vivacizzarli e rimetterli in moto. Certamente, vanno considerati aspetti depressivi che, nell’anziano, possono essere legati al ripresentarsi di aspetti depressivi già apparsi in gioventù. D’altro canto, esistono delle sindromi depressive che sono specifiche e tipiche dell’anziano, che sono talvolta causate dai cambiamenti fisici, come può esserci un rallentamento psicologico o un cambiamento nella memoria che non corrisponde ad un decadimento cognitivo, poiché non intacca la capacità di pensare o di comprensione. Si tratta di uno stato psicologico che può presentarsi nell’anziano in assenza di malattie organiche del cervello o di problemi psichiatrici, che non ha a che vedere con la demenza agevolmente identificata da specialisti, geriatri e neurologi, attraverso colloqui, test specifici ed esami strumentali (risonanza magnetica, TAC, etc.)”.

Come è possibile essere più vicini a loro quando ci sono distanze fisiche, ad esempio per motivi lavorativi o nelle grandi città?

“L’utilizzo della tecnologia, molto frequente adesso anche in terza età, è un ottimo strumento per mantenersi in contatto anche quotidianamente. Esiste un’ampia fascia di popolazione che nella terza età ha il tempo, la curiosità e la motivazione, per poter apprendere l’utilizzo degli strumenti tecnologici. Spesso sono aiutati dai nipoti, nelle occasioni in cui si incontrano o quando vengono appositamente “convocati”. Da nativi digitali possano spiegare, insegnare, aiutare, verificare il corretto funzionamento e talvolta anche di apprendimento. Le persone anziane possono più o meno avere una passione reale per la tecnologia, ma tutte ne comprendono l’inevitabile presenza nella vita quotidiana e anche i risvolti utili del loro utilizzo. Vi sono intensi scambi tra genitori e figli come tra nipoti e nonni, passando per zii e amici, di foto, video e un largo utilizzo delle videochiamate. Gli anziani che fanno un’analisi, in casi di emergenza, sono in grado di utilizzare la tecnologia dalle videochiamate allo smartphone per non perdere la loro seduta”.

Quali consigli darebbe ai familiari di una persona anziana che sta considerando di iniziare un percorso di psicoanalisi?

“Cercare di rimuovere i pregiudizi. La principale difficoltà è comprendere questo bisogno nella terza età. Gli anziani hanno esigenze specifiche che potrebbero non aver avuto in precedenza;

Comprendere che affrontare le proprie difficoltà psicologiche permette di prendersi cura di sé in un modo migliore, anche dei problemi di salute fisica;

Spezzare il cortocircuito della solitudine per chi fa l’analisi e per i suoi familiari, sia che ne restino al di fuori come accade abitualmente, sia che partecipino su richiesta del proprio congiunto;

Sapere che si può avere bisogno di riappacificarsi con se stessi e con momenti specifici della loro vita passata. È evidente che i genitori non hanno raccontato tutto della loro vita ai propri figli, della propria infanzia, degli anni della guerra e del dopoguerra, degli amori, degli abbandoni, della scuola, di un mondo che non c’è più nella realtà esterna ma che esiste e vive ancora nella realtà interna;

Accettare che con l’avanzare dell’età, quando ormai c’è una significativa distanza dal periodo della giovinezza, può comparire l’esigenza di rievocare con uno specialista, uno psicoanalista, gli avvenimenti, i ricordi e le emozioni. Per allontanare la paura della morte bisogna ricordare, condividere, sentire di avere vissuto”.

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