di Marisa Iacopino
Un pennello delinea il corpo di un cervo rosso. L’animale sembra uscire dalla tela per penetrare la purezza di una foresta innevata. E poi viaggi nell’universo urbano, in un vagone di metrò scrutato attraverso la circolarità di uno specchio, o dentro macchine che sfrecciano nella notte silenziosa.
Al di sopra di tutto, la danza del cielo che sfuma in onde di luce e coni d’ombra per regalare tutta l’energia dello spazio, il suo movimento perpetuo e ordinato.
Ma ecco una foglia morta a ricordarci l’impermanenza della vita. Ogni cosa è transitoria, così il dolore come la felicità. E allora l’invito dell’artista ad anelare grazia e armonia. Lui è Sami Gedik, pittore turco.
In ognuna delle sue opere, acquerello o olio, la ricerca di un’energia pacifica da cui possa sprigionarsi la forza per una riconciliazione tra umano e natura.
Come è nata la passione per la pittura?
“Le prime immagini che mi sono venute in mente risalgono ai tempi della scuola elementare, quando utilizzavo carte artigianali colorate per realizzare immagini utilizzando la tecnica del collage. Negli anni successivi osservavo mio fratello mentre dipingeva e provavo a fare lo stesso sul mio taccuino. Da quei giorni mi sono sempre occupato di pittura. Ho iniziato a dipingere costantemente a casa. Dopo essermi diplomato alla Bolu Anatolian Fine Arts High School, ho fatto il mio ingresso al Dipartimento di Pittura della Facoltà di Belle Arti dell’Università Hacettepe di Ankara. Ho iniziato il percorso artistico professionalmente nel 2010. Fino al 2017 ho prodotto dipinti con il concetto di “nero come grigio-bianco” con protagonisti neri. Successivamente però mi sono ritrovato nel mondo delle opere realistiche tra viti, girasoli secchi e campi di mais con la tecnica pittorica classica”.
In quale città della Turchia operi e cosa ti piace rappresentare del tuo Paese?
“Vivo ad Ankara, la capitale della Turchia. Per me la natura è sempre stata un’idea a cui non smetto di pensare, ricercare, dipingere. La natura viene deliberatamente distrutta da noi umani. Ma è lì con tutta la sua forza, nonostante noi. Parlando della mia produzione artistica, cerco di raccontare la grande storia dei piccoli momenti della natura che osservo. La fragilità di una pianta secca o l’abbraccio dei colori vibranti di una vite sono elementi universali che rimandano a sentimenti comuni”.
In una società globale ipertecnologica e sopraffatta dalle immagini, le opere pittoriche hanno ancora la forza di esprimere la visione del mondo?
“Credo di sì. Quando alziamo lo sguardo dallo schermo del computer, i nostri occhi cercheranno i fiori viola che spuntano da un’enorme pietra sul ciglio della strada e ci sorridono. Ecco perché l’arte sarà sempre nella natura, e la natura sarà sempre oggetto dell’arte”.
Nelle società odierne siamo costretti a sottomettersi a una nuova legge estetica, e lo saremo sempre più con l’intelligenza artificiale?
“Non è possibile respingere questo cambiamento. Tuttavia, accettiamo tutti che i girasoli dipinti da Van Gogh nel 1888 non perderanno il loro valore nonostante tutti i mutevoli giudizi di bellezza nel 2024. Non potremo ottenere da uno schermo la soddisfazione che proviamo visitando un museo; né la realtà virtuale potrà davvero farci sentire la brezza del vento. Penso che occorre rivolgersi al proprio mondo interiore e chiedersi quanto si è lontani dalle effimere norme estetiche quotidiane; quanto ci si può proteggere dagli effetti stimolanti della tecnologia. In breve, bisogna essere sinceri in quello che si fa. D’altra parte, credo che quando utilizzeremo l’intelligenza artificiale in modo attento e utile, essa alimenterà la nostra arte. L’unicità dell’arte ci apparterrà ancora”.
Pensi che l’arte possa aiutarci a cambiare il mondo?
“Sfortunatamente non esiste altra specie che causi tanto danno al mondo quanto noi, homo sapiens. Dobbiamo cambiare noi stessi, le nostre prospettive, il modo di vivere. Penso che l’arte sia lo strumento più potente per cambiarci e quindi cambiare il mondo. In breve, non solo la destinazione ma anche il viaggio è molto prezioso”.
Cosa pensi degli artisti italiani in campo pittorico? E in quale periodo storico trovi la maggiore corrispondenza con le tue opere?
“Nutro una grande ammirazione per gli artisti italiani perché hanno interiorizzato nella loro arte tutti i periodi, dal Rinascimento ad oggi. Questa cultura è stata senza dubbio radicata nel DNA delle generazioni successive. La situazione è leggermente diversa nel nostro caso. Non avendo vissuto il Rinascimento, abbiamo cercato di completarci successivamente. Comprendere e tutelare il periodo storico rinascimentale che si è sviluppato nel corso dei secoli, e l’accumulo di civiltà che ne è seguito, è un prerequisito per la civiltà moderna. Ecco perché ho provato a creare i miei dipinti basandomi sui metodi tradizionali degli antichi maestri. In questo senso posso dire che devo al Rinascimento la mia capacità di produrre opere moderne e permanenti con metodi tradizionali”.
Progetti per il futuro?
“Ho amato il detto “L’arte è uguale alla vita” dal primo giorno che l’ho sentito. Immagino di non poter guardare al futuro in modo diverso da questa frase. Voglio continuare a vivere e produrre, cercando di raggiungere l’essenza di ciò che è qualificato e raffinato”.