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Berndnaut Smilde: Il Signore delle Nuvole

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di Marisa Iacopino

Vapore che si condensa in minuscole goccioline d’acqua, disegnando nell’aria la magia delle nuvole. Un fenomeno fisico naturale che, magistralmente riprodotto e controllato, crea scenari di affascinante illusione, riuscendo ad ammaliare pure lo spettatore più smaliziato.

Sono le nuvole di Berndnaut Smilde, opere incorporee che prendono forma galleggiando in uno spazio circoscritto, per poi dissolversi, come per incanto. Un’arte effimera, “fatta della stessa sostanza dei sogni”, per dirla con Shakespeare.

Così il “Signore delle Nuvole” emoziona con istallazioni che durano pochi secondi, giusto il tempo di una fotografia, ma capaci di toccare la fugacità della nostra stessa esistenza.

L’artista olandese ci ha rilasciato quest’intervista.

“Sono nato a Groninga, città dei Paesi Bassi. Vivo e lavoro stabilmente ad Amsterdam. Realizzo sculture, installazioni e fotografie. Tra le altre cose realizzo nuvole all’interno degli spazi preposti ad accogliere le mie opere”.

Da dove nasce la tua passione per le nuvole?

“Sono sempre stato affascinato dai vecchi dipinti di paesaggi marini olandesi con i loro cieli impressionanti”.

A un fruitore di opere artistiche può capire d’imbattersi in forme di sostanza provvisoria, ad esempio nelle bolle di sapone rappresentate nell’arte pittorica classica, come simboli di leggerezza e vanità. Ma in quel caso, seppure l’oggetto del dipinto è caduco, resta la materialità del quadro. Per usare un ossimoro: cos’è che spinge un artista a creare qualcosa di così concretamente evanescente, che sia arte e quindi produca emozioni, ma al tempo stesso che abbia la durata di pochi istanti?

“Volevo semplicemente vedere se potevo mostrare una nuvola di pioggia, quindi ho sperimentato tutte le specie e mi sono ritrovato con una nuvola di breve durata. A causa dell’aspetto fugace della nuvola, il risultato finale è stato una fotografia”.

Non è forse anche il desiderio o il bisogno di creare senza ingombrare, di esprimersi in senso artistico ma senza l’autoreferenzialità di opere che perdurino, in un mondo ormai saturo, inquinato dal troppo, umanamente parlando?

“In un certo senso sì. Come artista sei abituato a trascinare con te molto materiale. In questo senso è davvero un sollievo che le nuvole si dissolvano completamente e non lascino alcuna traccia”.

Di che sostanza sono fatte le tue nuvole?

“Dopo attente ricerche, ho trovato l’aerogel, un fumo solido artificiale composto per il 99,8 per cento di aria. Leggerissimo, non molto dissimile dalle morbide nuvole”.

Nel dare forma a un nimbo è il plasmarsi del vapore a ispirare, o sei tu che riesci a influenzare l’essenza aeriforme?

“In realtà, è l’atmosfera in uno spazio che determina la crescita della nuvola. Io ne controllo le dimensioni e la forma fino a un certo punto”.

È importante contestualizzare le tue “installazioni aeree” nel mondo creativo?

“Dire che è essenziale. Costituisce il mio lavoro, come artista”.

“La bellezza è un fattore scatenante.” Questa frase significa che la bellezza è causa e non effetto. Può essere la bellezza di un luogo, di un’atmosfera, ad esempio, a scatenare il desiderio di quest’arte in nuvole?

“Non è una mia frase… In ogni caso, una bella posizione può senz’altro suscitare il mio interesse nel provare a far funzionare un cloud. E quando la luce, lo spazio e le nuvole si uniscono perfettamente, posso dire che è davvero fantastico!”.

Un curriculum, il tuo, fitto di mostre personali e collettive tenute ovunque nel mondo. Inoltre, scopriamo che ti dedichi all’insegnamento, ti occupi dei media e hai anche decine di pubblicazioni al tuo attivo. Insomma, un’arte volatile che genera una copiosa attività artistica?

“I lavori della Nimbus, la serie da me realizzata, hanno infatti aperto tantissime porte…”.

Nel 2018 hai tenuto una lezione anche in un sito particolarmente importante del patrimonio artistico e archeologico romano: le Terme di Diocleziano. Cosa pensi di quel luogo, hai percepito qualche suggestione particolare, distinguibile dagli stimoli provati in altri luoghi?

“Le Terme di Diocleziano erano un posto fantastico. Il sito era una sorta di spazio di stoccaggio del museo. Mi è particolarmente piaciuto il senso del tempo in quel luogo, poiché l’architettura e gli attributi memorizzati avevano più di 2000 anni, e questo forniva un bellissimo contrasto con la nuvola fugace e inafferrabile. Insieme alla luce la scena aveva una presenza un po’ pittorica”.

Hai dei progetti in corso?

“Ho una mostra personale alla Galleria Ronchini di Londra in programma per il prossimo anno, nell’aprile 2025”.

Ci congediamo da questo straordinario artista visivo con una riflessione: siamo immersi in un mondo alla continua ricerca di eternità. Eppure, dovremmo imparare ad apprezzare la nostra natura transitoria. Questa, forse, la chiave di volta per ritrovare la coscienza del limite. Perché, dopotutto, ciò che presto svanisce può parimenti emozionare, lasciando traccia profonda di sé.

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