a cura dello chef Fabio Campoli – prodigus.it
La polenta è uno dei piatti che meglio rappresenta le regioni dell’Italia settentrionale; nel corso della storia, dall’arrivo in Italia del mais dal Nuovo Mondo, ha provveduto a sfamare contadini e pastori e, affiancata ad altri cibi, ha poi raggiunto anche le tavole delle classi più abbienti.
Nell’immaginario collettivo la cottura della polenta, magari nel classico paiolo di rame, è fatta di attesa e insieme ai condimenti più vari diventa una rustica golosità e un simbolo di intimità familiare e unione. E nei giorni del Carnevale che precedono la Quaresima, in diverse regioni italiane la polenta è una grande protagonista, in versione sia dolce che salata. A Mantova e Reggio Emilia un piatto molto antico di polenta che si consumava a Carnevale è il fiapòn, termine derivato da “fiàp” che significa ”molle“. Nella città lombarda questo piatto è dolce mentre in quella emiliana è salato. In entrambi i casi l’impasto si ottiene utilizzando gli avanzi di polenta; a Mantova si aggiungono farina, zucchero e scorza di limone prima di stenderli in forma di dischi da friggere nello strutto e spolverare di zucchero semolato, mentre a Reggio Emilia i dischi si friggono nello strutto e restano salati. Restando in tema di frittelle, le fritole sono le frittelle di polenta che allietano la tavola durante il Carnevale in Veneto e Friuli Venezia Giulia raggiungendo anche l’Istria, con qualche variazione negli ingredienti per ciascuna regione. Queste frittelle vantano una lunga tradizione; nel ‘600 esisteva perfino l’associazione dei fritoleri e a quell’epoca la donna ideale da sposare era quella che meglio sapeva prepararle. A Treviso in particolare alla farina di mais si aggiunge farina bianca,latte, uova, uvetta e rum e la pastella si versa a cucchiaiate nell’olio bollente. Le frittelle vengono poi cosparse ancora calde di zucchero a velo. Ma la polenta in Veneto è anche salata nei cosiddetti “giorni della renga”. La renga è il nome dialettale dell’aringa, il pesce importato dal Nord Europa che a partire dal Medioevo ebbe un ruolo importante nell’economia locale soprattutto perché poteva essere salato o essiccato e riusciva a sfamare il popolo. In particolare, la cittadina di Parona – vicino Verona – fu nell’800 uno scalo fluviale e le aringhe a quei tempi erano merce di scambio dei marinai che si rifocillavano presso le locande del porto. Le donne del paese impararono presto a consumare le aringhe che nei giorni di magro della Quaresima erano la giusta pietanza, sia che fossero fresche che affumicate o tenute sotto sale. In Piemonte la città di Domodossola per Carnevale si tinge di giallo; qui i festeggiamenti cominciano il penultimo sabato che precede l’inizio della Quaresima e dura fino alla domenica successiva al Martedì grasso. Tra sfilate di carri allegorici e gruppi mascherati, i “pulentatt” di Crevoladossola – cioè tanti volontari vestiti di giallo acceso – preparano e servono in piazza polenta e sciriuii, cioè polenta e salamini. L’introduzione di questo piatto risale al 1901, ma fin dal 1870 c’è la tradizionale sfilata in costume della Corte del Conte e della Contessa Mattarella, personaggi della zona di Monte Calvario, e la celebrazione del matrimonio “del Togn con la Cia” che ricevono dal sindaco le chiavi della città. Il Togn (Antonio) e la Cia (Lucia), secondo una leggenda seicentesca, erano due fidanzati il cui amore era contrastato dai genitori di Lucia che apparteneva ad una ricca famiglia borghese e Antonio, il ”furest“ – ovvero il forestiero – molto meno ricco di lei. Alla fine si sposarono, e in piazza il Togn dà inizio ai festeggiamenti e la consumazione della polenta coi salamini per tutti.
Sempre in Piemonte, nella città di Ivrea si festeggia il Carnevale con polenta e merluzzo. Questa pietanza saluta il Carnevale nel Mercoledì delle Ceneri, quando i cittadini si recano nel quartiere Borghetto della città per assaggiare il piatto offerto dal Comitato della Croazia. Sembra che già all’epoca delle Crociate ci fosse ad Ivrea una comunità di croati integrata con gli italiani. Scendiamo ancora un po’ per la nostra penisola e andiamo nelle Marche per assaggiare le cresciole, frittelle di polenta e farina a forma di disco di circa sedici centimetri di diametro che possono essere salate oppure dolci se passate nello zucchero semolato per imitare la rugosità della polenta. Queste frittelle si preparano spesso per il Carnevale. E ancora nel Lazio, a Sermoneta, in provincia di Latina, la polenta è la classica, morbida e accompagnata da sugo cotto e salsicce. La sagra della polenta qui si svolge nella domenica di Carnevale più vicina alla festa di Sant’Antonio Abate. Fonti storiche documentano che la festa fu istituita dal Duca Guglielmo Caetani il quale, tornato nella sua città dopo l’esilio forzato, vi portò dal Nuovo Mondo i semi gialli di mais, chiamati allora mahiz. Dalla farina ottenuta dalla coltivazione del mais si ottenne la polenta con cui il Duca decise di sfamare i carcerati. Ma la polenta piacque anche ai pastori e ai contadini e il Duca scelse la ricorrenza di Sant’Antonio Abate per distribuire polenta e carne di maiale a tutti i sermonetani prima dell’inizio del periodo di digiuno dalle carni. La sagra di Sermoneta è allietata da musica e spettacoli che fanno da cornice alla degustazione di vini e prodotti tipici del luogo. Nelle successive domeniche questa festa si sposta a Doganella di Ninfa e in altre borgate vicine a Sermoneta.
La ricetta del mese: Fritole veneziane
Ingredienti per circa 35-40 pezzi: Farina manitoba, 250 g; Lievito di birra fresco, 5 g; Latte, 80 ml; Burro, 40 g; Uova grande, 1; Zucchero, 70 g; Grappa, 2 cucchiai; Uvetta sultanina, 60 g; Pinoli, 40 g; Baccello di vaniglia, mezzo; Sale; Olio di arachide per friggere; Zucchero a velo per decorare
Preparazione: Mettete l’uvetta in una ciotola, coprite con acqua tiepida e fate ammorbidire per circa 30 minuti. Trascorso il tempo, strizzatela e mettetela ad asciugare su un panno pulito.
Intanto versate il latte in una ciotola e scioglieteci il lievito di birra, aggiungete lo zucchero, i semi della bacca di vaniglia, l’uovo leggermente sbattuto, la grappa e il burro fuso e freddo. Unite la farina e un pizzico di sale, quindi lavorate prima con un cucchiaio di legno e poi con le mani fino a ottenere un impasto liscio e morbido. Trasferite su un piano leggermente imburrato e stendetelo il più possibile, quindi ricoprite la superficie con i pinoli e l’uvetta. Sollevate un lato e arrotolate, trattenendo all’interno la frutta secca, otterrete una sorta di filone. Arrotolate anch’esso e formate un panetto, quindi sistematelo in una ciotola leggermente imburrata, coprite con pellicola e lasciate lievitare fino al raddoppio nel forno spento con la luce accesa.
Trascorso il tempo prelevate dei pezzetti, grandi più o meno come una noce, arrotolateli tra i palmi delle mani e friggeteli in olio profondo alla temperatura di 160°C.
Quando le frittelle saranno belle gonfie e dorate, scolatele con una schiumarola e passatele su carta assorbente. Sistematele sul piatto da portata, cospargete con zucchero a velo e servite.
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