di Francesca Ghezzani
Luca Giuman è tornato in libreria da alcuni mesi con “Al Presente, Tutto” per la casa editrice Il Ciliegio, collana di Narrativa. Veneziano di nascita e colombiano di adozione, è esperto di sviluppo internazionale e diritti umani con le Nazioni Unite in Palestina, Haiti e in vari paesi dell’America Latina e dei Caraibi. Ha vissuto a lungo in Honduras e proprio qui ci porta con il suo libro, quando il Presidente viene arrestato e detenuto dai militari per essere poi deportato in Costa Rica.
Luca, quali pensieri sono passati nella tua mente da quel periodo, che hai vissuto in prima persona, al momento della stesura?
“Al Presente, Tutto’nasce dall’esperienza di vivere in Honduras durante il periodo di un colpo di Stato, e dall’avere avuto l’opportunità di accompagnare le organizzazioni che si sono coraggiosamente opposte al golpe per vari mesi. L’origine del materiale che uso nelle descrizioni del romanzo sono i miei quaderni d’appunti e il registro fotografico. Per scrivere il libro avevo dunque a disposizione non solo la mia memoria, ma un ampio registro di eventi e aneddoti. Avevo registrato attentamente le parole della gente, i cori che venivano cantati per strade, i timori dei manifestanti, le cariche della polizia e cosa succedeva la notte, durante i prolungati oscuramenti. Queste testimonianze costituiscono la base storica del romanzo. Per scrivere la storia, però avevo bisogno di mettere questi aspetti in prospettiva. La mia inquietudine era trovare le domande a cui volevo dare una risposta. Cercare il punto di domanda attorno al quale fare girare i personaggi. E le domande che mi interrogavano con insistenza erano relative al coraggio e alla relazione tra il cittadino e la collettività, tra l’individuo e il potere. Per anni ho riflettuto al significato di ciò che ho vissuto durante il colpo di Stato in Centroamerica, e guardando indietro mi sembrava che rimanesse dentro di me la convinzione che in quel momento, tutti noi, stavamo vivendo un episodio in cui potevamo mettere in strada il nostro coraggio, potevamo vedere con chiarezza ciò che era giusto e ciò che non lo era. Sapevamo con certezza che esistono valori collettivi, comuni, democratici, che danno valore alla vita. E verso quei valori ci siamo inclinati”.
Cito, di Albert Camus in “L’uomo in rivolta”, quanto troviamo nel tuo libro: “È questa la pazza generosità della rivolta, che dà senza indugio la forza d’amore e rifiuta senza dilazioni l’ingiustizia. Il suo onore sta nel non calcolare nulla, nel distribuire tutto alla vita presente e ai suoi fratelli vivi. In questo modo essa giova agli uomini di là da venire. La vera generosità verso l’avvenire consiste nel dare tutto al presente”. Mi piacerebbe un tuo commento al riguardo.
“In Al Presente, Tutto parlo di una generazione di giovani che, dopo la rottura dell’ordine costituzionale, ha preso la decisione di opporsi. Si è rivoltata contro un’ingiustizia. Il saggio di Albert Camus che cito, inizia con queste parole: un uomo in rivolta è un uomo che dice no. Menziona uno schiavo che per tutta la vita ha ricevuto ordini, e che d’un tratto reputa inaccettabile sottostare a un altro comando. È a questo che ho assistito in Honduras: un risveglio collettivo. Questi giovani e queste ragazze si sono alzate in piedi e hanno detto no. Si sono alzati e hanno marciato per giorni, sotto il sole leonino, con i più poveri, con quello che chiamiamo “popolo”. Hanno messo in gioco la propria integrità fisica in difesa di un ideale. In Europa, forse lo diamo per scontato, ma la democrazia, in molte parti del mondo è una realtà che va difesa, perché sono molte le forze che la minacciano. E vedere questo coraggio, questo candore, a me metteva i brividi. Al Presente, Tutto è un libro sulla superazione dell’egocentrismo. Sull’idea di trovare nella rivolta un gesto d’amore per gli altri e per chi verrà dopo di noi. La forza d’amore che rifiuta senza dilazioni l’ingiustizia, che è generosa verso il presente, al punto di mettere il proprio cuore su un piatto. E che nel presente vive una vita intera”.
Sempre in una delle tue pagine leggiamo, all’interno di un dialogo: «Alla gente piace farsi gli affari suoi.»… «Alla gente piace star tranquilla e che la lascino dormire in pace.» Tu, viaggiando per tutto il mondo, che idea ti sei fatto delle persone, o per meglio dire, dell’umanità intera a prescindere dai confini geografici?
“Incarniamo le contradizioni, questo è ciò che contraddistingue la nostra specie — siamo un coacervo di contraddizioni. Possiamo mettere a rischio la nostra vita per le persone che amiamo, per la patria, per dei valori. Sappiamo essere nobili. Le nostre anime aspirano a ciò che è sublime ed eterno. Ma siamo anche animali feroci, in grado di ogni forma di grettezza e violenza. Ci hanno socializzati come lupi, e come lupi possiamo comportarci. Ho visto nelle strade di Porto Principe il livello di degrado a cui possiamo condurre i nostri simili. E nei campi di migranti, alla frontiera del sud del Messico, la violenza con cui trattiamo chi è straniero, al punto di mettere in una fossa comune il neonato di una donna africana che non aveva con che pagare i servizi funebri. In ogni paese madri e padri si svegliano per costruire un futuro migliore per i propri figli, i giovani partecipano in attività di volontariato, o c’è chi dopo la pensione dedica il suo tempo per insegnare una nuova lingua agli immigrati. L’empatia, la dolcezza, l’amore, che convivono nel nostro animo con la violenza possibile, l’egoismo o l’avarizia. Siamo così a livello individuale, ma anche di nazioni: la nazione schiavista, o la nazione con aspirazioni imperiali. Questo costituisce la tragedia umana, che si trasmette di generazione in generazione. E questa è la materia dei miei libri. Gli esseri umani sono angeli terribili, indomabili, votati all’amore e alla depredazione, capaci di bellezza e di orrori”.
Vivere la Storia è per te un privilegio?
“Vivere è un privilegio. Avere uno sguardo lucido per osservare il mondo è un privilegio che accompagna il primo. Avere un corpo sano che ci permette di attraversarlo ne è un altro, così come l’opportunità di avere studiato. Non dobbiamo dare nulla per scontato. Non lo è. Non lo è per moltissime persone. E quando si vive, e si tengono gli occhi aperti, e si cammina per il mondo, senza timore, allora la storia ci si apre davanti. È così che ho visto il processo di pace in Colombia, il colpo di Stato in Honduras, e in Bolivia, la repressione del regime di Maduro in Venezuela, o l’occupazione Israeliana della Palestina, e Gaza prima che fosse rasa al suolo. È la curiosità, e la determinazione di fare della ricerca un modo di vita. Perché nella Storia, con la esse maiuscola, come la definisce lei, in fondo ciò che cerchiamo non è il fatto di cronaca, ma la natura umana, la sua essenza, che si svela dietro al tendone della Storia. Perché nel momento della tragedia, nel momento della rottura dell’equilibrio, è come se ci accendesse una luce, e quella scintilla ci permette di intravedere lo spirito umano. E se le religioni hanno un valore, allora nello scorgere la verità della natura umana, si intravede anche Dio, che è ciò che la precede e ciò che l’attende. Mi capisce? L’unione, tra il singolo e ciò che ci supera. Tra le radici e il destino ultimo del cammino. Ed è questo il privilegio di assistere alla Storia; la Storia ci può svelare l’anima umana — la mette a nudo. Chi siamo? Parte di che sistema che ci oltrepassa? E quando si arriva ad avere un’intuizione di questo tipo, come quella che racconto attraverso le parole di Davide, seduto tra i feriti in un ospedale, quando in un momento di epifania crede di intravedere l’assoluto negli altri, allora si ha voglia di raccontarla, di condividerla. Lì l’origine di Al Presente, Tutto”.
Farai leggere questo libro ai tuoi figli quando saranno più grandi?
“Ai miei figli provo a trasmettere l’amore per i libri e la lettura. Vorrei che leggessero Tolstoj, e Steinbeck o Grossman e Zolà, Valeria Luiselli e Juan Rulfo. Vorrei che leggessero i grandi autori della letteratura, ma anche che si incuriosissero per la storia, la filosofia e le religioni. Il tempo è prezioso, e ci sono autori e autrici, come Morante o De Beauvoir che vanno lette. O libri, come il Bhagavad Gita o il Dhammapada che si devono conoscere. Perché essere alla presenza dei grandi intelletti che ci hanno preceduti è come fare una chiacchierata con una maestra benevola. Ciò che io scrivo è insignificante, ma la lettura, come pratica, è una cosa meravigliosa. Lo stato mentale di attenzione e di riflessione che genera la lettura è qualcosa che va difeso, soprattutto in questi tempi d’immediatezza e ansietà. Spero che i miei figli leggano ciò che li attira, e, se sono come me, si incuriosiranno per ogni cosa. Questo è molto più importante, per trovare il proprio cammino, che vivere all’ombra di un padre. E se un giorno sentiranno che vogliono conoscere ciò pensava il loro papà, come vedeva le cose, e come leggeva la vita, allora saranno loro ad avvicinarsi ai miei libri. Ma qualcosa mi suggerisce che questo succederà quando non vivranno più sotto il mio tetto, o sotto lo stesso cielo, forse quando avranno voglia di ascoltare di nuovo una voce che è ormai lontana”.