di Francesca Ghezzani
Già autore di cinque drammaturgie teatrali e di una sceneggiatura cinematografica, Luca Pasquinelli è arrivato in libreria con Giorni da Leone (Giovane Holden, Collana Battitore Libero), un romanzo dal tema sociale che scandaglia impietosamente i rapporti tra genitori e figli quando i genitori di ieri diventano i figli di oggi.
Leone Chiarodiluna è un figlio badante, la cui vita è interamente dedicata alla cura dei genitori anziani non autosufficienti. Una assistenza prestata senza coinvolgimento affettivo, anzi incolpando i genitori della sua mancanza, a quarant’anni compiuti, di prospettive.
Luca, il rapporto di Leone con i suoi genitori è molto conflittuale. Come hai affrontato la scrittura di queste dinamiche familiari complesse?
“Ho affrontato la scrittura delle dinamiche familiari pescando certamente dal mio passato e, in particolare, da un periodo della mia vita in cui mi sono trovato a rinunciare a tante cose già conquistate per essere d’aiuto ai miei genitori che si trovavano in una condizione psicofisica molto precaria. Creare il rapporto di Leone con la sua famiglia mi ha permesso di esorcizzare e analizzare a fondo ciò che avevo vissuto io. Naturalmente, poi, la scrittura di un romanzo permette di partire da una verità e prendere il volo verso paesi inesplorati e inventati”.
Hai descritto la scrittura di questo libro come un processo impetuoso seguito da una fase più riflessiva. Raccontaci.
“Quando un libro o qualsiasi forma d’arte nasce da un’urgenza si manifesta per forza come qualcosa di tumultuoso. L’esigenza di scrivere e di creare si fa largo anche con violenza tra gli impegni e le abitudini di vita che uno ha. Bisogna, infatti, riuscire a cogliere sempre l’attimo dell’ispirazione anche quando arriva in momenti in cui non ci sarebbe la possibilità di seguirla. Per quel che mi riguarda, quando sento questo tipo di impulso mi siedo davanti al pc e seguo la corrente. Cerco di prolungare il più possibile la sensazione e trarne il massimo frutto. Certo, questa situazione può capitare nei momenti in cui una persona è al lavoro, ad esempio, e allora lì bisogna trovare il modo almeno di appuntarsi ciò che ci ispira per cercare di approfondirlo in seguito, andando a stimolare di nuovo quell’urgenza. La fase più riflessiva, invece, è legata alla post produzione, ossia a tutto quel lavoro faticosissimo ma fondamentale che riguarda la correzione del testo, quindi la rilettura e soprattutto la voglia di criticarsi e mettersi in gioco. Cancellare, modificare, migliorare. Si tratta di un processo razionale e perciò non impetuoso ma graduale”.
Hai scritto numerose drammaturgie teatrali e una sceneggiatura cinematografica prima di questo romanzo. Come si differenzia il processo di scrittura per il teatro, il cinema e il romanzo?
“Ho scoperto che esiste una differenza abissale tra questi processi di scrittura. Il copione e la sceneggiatura sono mezzi per realizzare un’altra forma d’arte, che è la messa in scena o la realizzazione di un film. Vi sono registi e attori, attrici, che danno vita a ciò che si scrive. Il romanzo è una forma d’arte unica e senza altri media che lo trasformano. Dentro al romanzo ci deve essere già tutto. Il lettore non è accompagnato da un attore o da un regista. Affronta il viaggio da solo e deve trovare nelle parole di chi scrive tutto il mondo che cerca, l’universo in cui vuole immergersi quando comincia a leggere la prima pagina”.
Il tuo romanzo affronta il tema dell’antieroe e delle debolezze umane. Pensi che se ne parli troppo poco a livello mediatico e non solo?
“Questa è una domanda molto interessante. Siamo in un’era in cui l’errore sembra essere bandito. S’insegna ai ragazzi a stare lontano dagli sbagli, a essere sempre perfetti. La perfezione, poi, va a scontrarsi con modelli pericolosi e insani da imitare. I ragazzi hanno di fronte a loro il modello dell’uomo di successo, che pensa solo ai soldi, all’orologio, all’auto di lusso e ottiene tutto e subito. Le ragazze si trovano davanti l’ossessione per la perfezione estetica. Il corpo curato in ogni dettaglio, il viso truccato in maniera impeccabile, le unghie sempre pitturate. Tutto questo porta a una pericolosissima rimozione dell’interiorità e dell’unicità. Toglie spazio all’imprevedibile, alla bellezza della fragilità”.
Cosa speri che i lettori traggano dalla lettura di “Giorni da Leone”?
“Spero che i lettori partano per un viaggio che li porti emozioni. Che siano positive o negative, questo fa parte della vita perché leggere una storia è come viverla. Vorrei che, dopo aver finito il libro, le persone si sentissero come quando si scende da un giro di giostra. Sicuramente spero che dopo questa lettura le persone amino di più se stesse e le persone care che stanno loro intorno”.