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Roberto Bassoli: “Shakespeare non è per tutti” il thriller che appassiona

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di Mirella Dosi

E’ uscito il 14 marzo in tutte le librerie e negli store digitali il nuovo libro di Roberto Bassoli, “Shakespeare non è per tutti”, edito da Santelli editore. Un thriller che terrà i lettori con il fiato sospeso, tra le montagne dell’Alto Adige, il cuore dell’Africa e il Nord Europa, in una spirale di violenza, morte e vendetta.

Le tranquille abitudini di Alfred Ploner, imprenditore altoatesino, vengono sconvolte dall’incontro con una spietata organizzazione criminale. Suo malgrado, Ploner si ritroverà coinvolto in una vicenda drammatica, dove un carico d’oro macchiato di sangue e gli effetti devastanti della vendetta saranno i protagonisti. Dalle vigne dell’Alto Adige alle strade di Bolzano, dai deserti africani alle città del Nord Europa: il romanzo di Bassoli è un viaggio mozzafiato nel cuore del thriller. Un intreccio di suspense, azione e colpi di scena che terrà i lettori incollati alle pagine fino all’ultima riga.

Roberto Bassoli, nato a Modena nel 1961, è uno scrittore, giornalista, musicologo ed esperto in Marketing e Comunicazione. Tra le sue passioni la musica barocca, il jazz, gli sport velici e il tiro a segno di cui è anche tecnico federale. I suoi precedenti romanzi thriller, “Le idi di luglio”, “La sindrome di Bosch” e “Qisas”, hanno riscosso un notevole successo di pubblico e critica. L’autore dedica questo suo quarto libro alla moglie Eva, per il sostegno e la pazienza dimostrati durante il processo di scrittura del libro.

Il titolo “Shakespeare non è per tutti” è intrigante. Cosa l’ha ispirata a sceglierlo e come si lega alla trama del libro?

“Quando stavo raccogliendo le idee per la stesura del romanzo, mi trovavo in un periodo di rilettura di alcune tragedie di Shakespeare. Una di queste, “Macbeth”, mi aveva colpito particolarmente per il tema centrale trattato, riconoscendolo come motore della trama che stavo elaborando. In quel momento ho deciso di strutturare il racconto come un’opera shakespeariana. Il titolo, il cui senso viene svelato verso la fine del romanzo, è al tempo stesso un omaggio al grandissimo drammaturgo inglese e un gioco di ombre dietro altre ombre sul quale si fonda il mio testo”.

Nel libro c’è un mix di location molto diverse tra loro. Come mai ha scelto di ambientare il suo thriller tra le montagne dell’Alto Adige, il cuore dell’Africa e il Nord Europa?

“Ho deciso ambientare il romanzo in parte a Bolzano, poiché è una città che viene nominata solo per l’alta qualità della vita e in cui pare non accada mai nulla di drammatico. Credo che non esista un luogo nel quale vi sia solo luce, tranquillità e benessere; quindi, ho voluto esplorare i lati oscuri che inevitabilmente si nascondono dietro le migliori apparenze. Per quanto riguarda l’Africa e l’Europa del nord, sono legate da un carico d’oro contrabbandato: il motivo per cui si sviluppa un disegno fatto di complotti e intrighi”.

Alfred Ploner, il protagonista, è un imprenditore che viene coinvolto in una vicenda criminale. Cosa l’ha spinta a creare un personaggio così “ordinario” catapultato in una situazione straordinaria?

“Non ho voluto creare un personaggio da romanzo, bensì portare sulla scena un uomo il più reale possibile, la cui vita potrebbe essere quella di chiunque di noi: potenzialmente a rischio di un coinvolgimento in eventi che sfuggono al nostro controllo. Alfred siamo noi, persone “normali” che possono precipitare in situazioni estreme senza averle immaginate né cercate, e che si trovano a dover sfidare chi le ha spinte nel precipizio e soprattutto i demoni che non sapevano di nascondere nella propria mente”.

Il tema della vendetta sembra essere centrale nel libro. Cosa l’affascina di questo tema?

“In realtà, non ho affatto una buona opinione della vendetta. La considero una delle peggiori pulsioni che possano essere allevate. È distruttiva specialmente per chi la insegue e nutrendosene rischia di trasformarsi in una creatura incapace di riconoscere e temere l’orrore. Si sa, purtroppo, l’orrore è seducente. Non dovrebbe essere tale, ma pare sia inevitabile. Per un autore di thriller rappresenta comunque materiale utile per costruire la trama di un romanzo decisamente tenebroso”.

Come è stato il processo di scrittura di questo thriller? Ha incontrato particolari sfide o difficoltà durante la stesura?

“Francamente non ho avuto grossi problemi nello scrivere il romanzo. Conclusa la fase di ricerca e studio, cioè quella che mi diverte di più, e redatta una scaletta comprendente gli avvenimenti descritti in linee generali, non è stato molto complicato redìgere il testo. Avevo già le idee abbastanza chiare e man mano che affrontavo le stesure successive alla prima si definivano nitidamente. Una parte, complessa ma davvero gratificante, è stata l’opera di approfondimento della psicologia dei personaggi. Creare esseri umani, con i propri caratteri articolati, e non solo fotografie in bianco e nero da incollare sulle pagine si è rivelata una sfida appassionante”.

Tra le sue passioni ci sono la musica barocca, il jazz, gli sport velici e il tiro a segno. C’è un legame tra queste passioni e il suo modo di scrivere?

“La musica mi dona emozioni che cerco di trasmettere ai miei personaggi. La vela mi ha fatto apprezzare, oltre al senso di libertà connesso alla navigazione, anche la solitudine, con la quale uno scrittore deve essere capace di convivere. E il tiro con la pistola olimpica, mi aiuta a mantenere la concentrazione e a osservare il rispetto delle regole. In generale, penso che tutto ciò che riempie la vita di sensazioni profonde non possa che rendere “vivi” i lavori di un narratore”.

I suoi precedenti romanzi hanno avuto buon successo. Cosa si aspetta da “Shakespeare non è per tutti”?

“Mi piacerebbe che i lettori divorassero il testo, dalla prima all’ultima pagina, senza mai sentirsene sazi. Per un autore di thriller sapere che il suo lavoro non ha concesso un attimo di respiro al proprio pubblico è il riconoscimento più ambito. Nonché una spinta fortissima per continuare a scrivere. Da cui si origina, come conseguenza, quella di collaborare sempre più strettamente con i maggiori editori. Sarò sincero: un libro che rimane in un cassetto è terribilmente malinconico”.

Tra le dediche c’è quella a sua moglie Eva. Quanto è stato importante il suo supporto durante il processo di scrittura?

“Temo che non sia sempre facile vivere con chi trascorre ore chiuso nella propria mente. Assorbito da un mondo fatto di trame, colpi di scena, personaggi immaginari e limature grammaticali, un autore si autocondanna a temporanei esili dalla realtà. Per mia immensa fortuna, mia moglie ha una sensibilità tale da comprendere e accettare le mie assenze senza considerarmi matto. O, più probabilmente, reputa il supporto che non mi ha mai fatto mancare come un aspetto naturale della splendida vita che stiamo trascorrendo insieme. E per me è di aiuto più di quanto riesca a esprimere”.

Cosa la appassiona particolarmente del genere thriller?

“Ciò che mi diverte di più è la continua incertezza, quel senso di sorpresa in agguato che mi fa dire: «Oddio, e adesso cosa succederà?». La tensione narrativa che mi fa rimanere incollato a un romanzo è il miglior antidoto contro la lentezza con cui il tempo trascorre quando decide di non volere offrire niente”.

A quale tipo di pubblico si rivolge con questo libro?

“Il mio è un romanzo che non risparmia la violenza, sia fisica che psicologica. È ricco di colpi di scena, di omicidi, di demoni nascosti nelle tenebre dell’animo e della mente. Racconta la caduta del protagonista in un inferno dal quale – forse – non esiste un’uscita. Credo che piacerà ad un lettore adulto, disposto a seguire un percorso tortuoso durante il quale essere aggredito da emozioni intense”.

Quali sono i suoi autori di thriller preferiti e che l’hanno maggiormente influenzata?

“Potrei citare Thomas Harris, Patricia Cornwell, Michael Connelly, Lee Child, ma quelli a cui sono maggiormente affezionato non siano propriamente scrittori di thriller. Alludo ai maestri del genere “spy” come Frederik Forsyte, Robert Ludlum, Tom Clancy e il Ken Follett capace di libri come “Triplo” e “Il codice Rebecca”. Paradossalmente, tuttavia, gli scrittori che mi hanno influenzato maggiormente non hanno mai pubblicato un thriller, come viene inteso abitualmente. Non sono nemmeno simili stilisticamente; anzi, sono l’uno l’opposto dell’altro. Ciò non toglie che abbiano vinto un Nobel a testa e mi abbiano fatto amare ancor di più la narrativa. A Ernest Hemingway e Camilo José Cela, vanno la mia venerazione di lettore e la mia infinita ammirazione di scrittore”.

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